SETTATI AL QUARTO D’ORA SUCCESSIVO
Quando pensi a una cosa, a una cosa da dire, da scrivere, da fare, è il momento della raccolta. Va colta subito. Si tratta di un guizzo, di una luce che si accende alla sua massima potenza e mano a mano va affievolendosi, persi nel gioco del percorso a ostacoli della quotidianità.
Questa luce si accende se hai l’ispirazione, e quindi andrebbe colta, attuata, in pratica, falla tua subito.
Senza dire, dopo.
Mano a mano che si spegne, perderà energia. Perdendo energia, perde di valore. Se te la tieni a mente e basta, consuma. E si consuma.
Passando le ore, i giorni, le settimane e i mesi, rimane lì. Ormai al suo minimo lume, trasformandosi poi di categoria, assume il nome di quelle cose che si annoverano nella collezione delle occasioni perse.
Il libro da scrivere, la persona da contattare, il ti voglio bene da dire al genitore, il gioco da fare col figlio, l’ispirazione da appuntarsi nel taccuino o nelle note del telefonino.
Dopo dopo dopo.
Il cellulare in mano e le notifiche.
Dopo, quel pensiero perde energia. Quindi, potenza.
Quell’attimo è il momento di comunicazione tra te e il mondo, l’antenna sta ricevendo, il segnale va trasformato. Convertito in fatti.
L’antenna sei tu.
Goethe diceva qualsiasi cosa sogni fare, cominciala adesso.
Cos’è l’ennesima notifica se non il pensare a cosa DOVER fare, l’e-mail che arriva, in punta anche per quella che non arriva, l’odiosa e martellante newsletter di chi si vuole infilare nella tua vita – tradotto, nel tuo portafoglio – che non ha alcun rispetto di te se non quello che rappresenti.
La notifica è l’inutile perdita di tempo, tempo che stai REGALANDO a terzi che neanche conosci quando lì attorno hai magari dei bambini che reclamano solo la tua attenzione. Con la maschera dell’utilità immediata della tecnologia.
La tecnologia è e deve essere al servizio dell’uomo e non il contrario.
Oggi tendenzialmente assistiamo al contrario. L’uomo tende a farsi schiavizzare. E il bello è che si crede padrone.
Coppie al ristorante dove uno di fronte all’altro ci s’ignora, salvo poi fotografare la pietanza. Famiglie, sempre al ristorante, col piccolo e il tablet a un centimetro dalla faccia, purché stia buono.
Esiste un meccanismo perverso per cui il dispositivo tecnologico che maneggiamo quotidianamente rappresenta – ed è – la porta di accesso invadente cui noi conce-diamo libertà di entrare superando tutti gli scarti di priorità delle nostre vite. Tutti, o quasi tutti.
Mi sono reso conto di un particolare. Eckart Tolle lo chiama Il potere di adesso.
Si tratta di scattare una fotografia. O meglio, una piccolissima serie di fotogrammi. Ma non con il telefono: con gli occhi e con le orecchie.
Se vuoi farla proprio “sporca”, usa anche le mani e il naso.
Si tratta di un’istantanea dove ti fermi un attimo e ascolti e senti, tocchi e vedi.
Sembra che non accada mai niente ma in questa istantanea ti riempi di ricchezza.
La ricchezza dell’istante. Un attimo, un insieme di sensazioni che regalano letteralmente lo stupore dello spirito.
Una cosa incredibile, straordinaria che passa attraverso l’attenzione, l’attenzione che non lascia spazio al dare per scontato.

Un prato verde, attorno le colline, di mezzo alcune persone che si dicono delle cose, alcuni bambini che corrono, dei dialoghi pacati e delle dolci piccole urla. Alcuni leggono assorti, altri si gustano il sole, l’estate, la luce, la sensazione di leggerezza, il riposo.
Pura magia alla portata.
Il focus è spostato. Torni alla quotidianità e si sposta di nuovo. Dal piacere al problema.
E se fosse al piacere del problema?
L’istantanea può essere fatta anche nella quotidianità. Nel gustarsi la piccola grande cosa.
Ciò che conta realmente è essere qui nell’adesso. Non altrove col telefono in mano che porta ovunque fuorché qua. Non nell’introiettare le pre-occupazioni di eventi mai svolti nell’oggi e che magari nemmeno si verificheranno mai.
Va tolto quel potere al futuro che s’insinua come le e-mail promozionali non richieste.
C’è un certo futuro che è solo SPAM.
C’è un certo passato che insiste, rimugina, martella, risente, logora, che continua a bussare alla porta dell’adesso e noi lo facciamo entrare come avessimo il telefono in mano con l’effetto zombizzante di tutto ciò che non esiste, non è mai esistito o non ancora ma capta il nostro essere ipnotizzandolo.
Per ciò che è esistito – quindi relegato nelle pieghe del passato – siamo noi, noi, solo noi, a dargli accesso dicendo “prego, entra, usami e fai di me il tuo oggetto di sfogo, mangiami, logorami, succhiami l’energia, fammi stare giù l’anima”.
Mettendo a dieta definitiva passato e futuro, alimentiamo l’unica cosa che conta vivere. Il momento presente. Scattando l’istantanea. Quei tre o quattro fotogrammi chiamiamoli pure GIF.
Il vivere il momento è esattamente rendersi conto che il quarto d’ora successivo è già preistoria se l’attimo di adesso viene costantemente rimandato.
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Leonardo Aldegheri
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