IL GRANDE SPETTACOLO NEL CIELO
È una storia.
«Il 21 gennaio 1973 venni invitata allo studio 3 di Abbey Road. A malapena avevo sentito parlare dei Pink Floyd. La canzone che dovevo eseguire si sarebbe chiamata The Great Gig in the Sky e l’album The Dark Side of the Moon. La band mi fece sentire questa sequenza scritta dal tastierista Richard Wright. “Non cantare nulla“, mi dissero. “Improvvisa“. Immaginai la mia voce come una chitarra solista e mi sentii come una Gospel Mama. Dopo poche registrazioni il gruppo era soddisfatto e potei tornare a casa con la retribuzione che mi spettava. Era domenica e presi paga doppia: per tre ore di lavoro, 30 sterline. A parte Gilmour, gli altri componenti della band sembravano terribilmente annoiati da tutta quella storia del disco. Mi dissi: “Questa registrazione non vedrà mai la luce.”»
“I Pink Floyd raccontarono che Clare Torry fece una mezza dozzina di registrazioni prima di trovare quella giusta. Prima di iniziare a registrare le fu detto “Non ci sono parole. Riguarda la morte”, allora la cantante provò a fare dei dei particolari versi e, in seguito, ad imitare uno strumento musicale”.

“L’argomento centrale di The Great Gig in the Sky è la morte, ben esplicita nel testo e, secondo molti, si trova anche nel titolo a doppio significato. La canzone è, infatti, la continuazione di Time, nel quale..
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..una persona si accorge di aver sprecato troppo tempo nella vita ed è spaventata dall’idea di dover morire senza avere la possibilità di realizzare i progetti che aveva in mente”.
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“Gilmour le disse che non c’era un testo per The Great Gig In The Sky che lei avrebbe dovuto limitarsi a cantare pensando al passaggio dalla vita alla morte, sostanzialmente improvvisando ciò che le veniva in mente: in definitiva i Pink Floyd le davano carta bianca, ma nello stesso tempo lasciavano intendere che non avevano idea di cosa in realtà volevano che facesse“.
“David Gilmour della sua partecipazione al disco: “Clare non sembrava proprio una del giro. Fu una idea di Alan Parsons. Volevamo mettere una voce femminile nel brano, che urlasse come durante un orgasmo. Alan aveva lavorato con lei, quindi le demmo una chanche. E fu Fantastica! Dovemmo incoraggiarla un po’ e darle qualche suggerimento sulla dinamica del suono del tipo: “forse dovresti fare questo pezzo più tranquillo e quest’altro più alto”… registrammo sei o sette volte e poi scegliemmo la versione definitiva. Quando la vidi a cosa mi faceva pensare? Ad una gradevole casalinga inglese”.

“Al secondo take provò a calarsi nella canzone, ma qualcosa ancora non andava. Fece una pausa e poi tentò un’ultima volta l’approccio a The Great Gig In The Sky: stavolta non avrebbe seguito la canzone, sarebbe stata LEI la canzone e avrebbe imposto l’onda emotiva che le sgorgava dentro, lasciandosi andare e immaginando davvero lo scorrere della vita fino all’inevitabile fine”.
“Il caso è lo pseudonimo di Dio quando non vuole firmare”.
Nobel Anatole France
CREDITS: vari blog da cui ho estratto i pezzi virgolettati e gli spezzoni di intervista. Davvero grazie per l’eccellente lavoro di ricostruzione di quel 21 gennaio 1973.
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“And I am not frightened of dying.
Any time will do; I don’t mind.
Why should I be frightened of dying?
There’s no reason for it—you’ve gotta go sometime”.
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Leonardo Aldegheri
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