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LA PESTE DEL VENTUNESIMO SECOLO

#257

Parole da leggere e rileggere. Molte volte.

“Manzoni non l’aveva vista, la peste, ma aveva studiato documenti su documenti.
E allora descrive la follia, la psicosi, le teorie assurde sulla sua origine, sui rimedi.

Descrive la scena di uno straniero (un “turista”) a Milano che tocca un muro del duomo e viene linciato dalla folla perché accusato di spargere..

il morbo.

Ma c’è una cosa che Manzoni descrive bene, soprattutto, e che riprende da Boccaccio: il momento di prova, di discrimine, tra umanità e inumanità.

Boccaccio sì che l’aveva vista, la peste.

Aveva visto amici, persone amate, parenti, anche suo padre, morire. E Boccaccio ci spiega che l’effetto più terribile della peste era la distruzione del vivere civile.

Perché il vicino iniziava a odiare il vicino, il fratello iniziava a odiare il fratello, e persino i figli abbandonavano i genitori. La peste metteva gli uomini l’uno contro l’altro. Lui rispondeva col Decameron, il più grande inno alla vita e alla buona civiltà.

Manzoni rispondeva con la fede e la cultura, che non evitano i guai ma, diceva, insegnavano come affrontarli.

In generale, entrambi rispondevano in modo simile: invitando a essere uomini, a restare umani, quando il mondo impazzisce.”

Errico Buonanno

Ringrazio sentitamente Andrea Peghin su LinkedIn per aver pubblicato questa citazione che ho ripreso qua per Help per lo Sviluppo di Idee e Affari. L’immagine di copertina deriva dal suo post.

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Leonardo Aldegheri
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